Trasformazione delle DTA in crediti di imposta: le perdite su crediti commerciali.

Con la riformulazione dell’art. 44-bis del decreto Crescita (D.L. n. 34/2019) da parte dell’art. 55, D.L. n. 18/2020 – decreto Cura Italia, viene introdotta la possibilità di trasformare le imposte anticipate iscritte con riferimento a perdite fiscali ed eccedenze ACE (DTA).
Tale facoltà è riservata alla società che cedono a titolo oneroso, entro e non oltre il 31 dicembre 2020, crediti vantati verso debitori inadempienti.
Come precisato dalla Relazione Illustrativa al decreto “la disposizione è volta a incentivare la cessione di crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni, anche per effetto della crisi finanziaria, con l’obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica”. L’intervento consente, quindi, alle imprese di anticipare l’utilizzo come crediti d’imposta delle DTA (Deferred Tax Asset), di cui altrimenti avrebbero usufruito in anni successivi, determinando nell’immediato sotto il profilo finanziario una riduzione del fabbisogno di liquidità connesso con il versamento di imposte e contributi.
Soggetti destinatari
La definizione dell’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplina di trasformazione delle DTA in crediti d’imposta non sembrerebbe presentare prima facie particolari restrizioni stante il generico riferimento alle società cedenti. Ne deriverebbe dunque che il credito d’imposta in esame sarebbe ex se usufruibile da tutti i contribuenti interessati purché costituiti sotto forma societaria.
A nulla sembrerebbe rilevare, dunque, che la società beneficiaria sia IAS/IFRS o OIC adopter, in quanto la disciplina non prevede alcun riferimento al riguardo.
Ancorché non siano previste esplicite indicazioni, la formulazione della disposizione potrebbe comportare un’implicita limitazione per i soggetti per i quali la norma civilistica non impone l’approvazione del bilancio. Tale approccio porterebbe, quindi, ad escludere dall’applicazione della disposizione in commento le società di persone e le stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti. Su tali aspetti, un riferimento può essere fatto alla risoluzione n. 94/E/2011 ove l’Amministrazione ha ritenuto di circoscrivere l’ambito applicativo del credito derivante dalla trasformazione di imposta anticipate “solo ai soggetti IRES costituiti in una forma giuridica che prevede l’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci o di altro organo competente per legge”.
Sul secondo punto, peraltro, la limitazione per le stabili organizzazioni italiane di soggetti esteri porterebbe ad interrogarsi su eventuali profili di discriminazione, quanto meno in ambito europeo (cfr. causa C-307/97 Saint Gobain, causa C-270/83 Avoir Fiscal, causa C-250/95 Futura Participations SA).
Inoltre, in assenza di indicazioni sulla dimensione dei soggetti coinvolti e alla tipologia di attività dagli stessi esercitata, l’agevolazione dovrebbe essere disponibile tanto per le piccole medie imprese che per i grandi contribuenti qualunque sia l’attività svolta.
Sulla base del dettato normativo, la disposizione non si applica a società per le quali sia stato accertato:
- lo stato di dissesto o il rischio di dissesto ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 180/2015, ovvero
- lo stato di insolvenza ai sensi dell’art. 5, D.D. n. 267/1942 o dell’art. 2, comma 1, lettera b), del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019).

La possibilità di trasformare in credito d’imposta le DTA relative a perdite fiscali e beneficio ACE non utilizzati è subordinata alla cessione, entro il 31 dicembre 2020, dei crediti pecuniari che si caratterizzano per alcuni specifici requisiti:

1. qualitativo, ovvero sulla definizione di “crediti deteriorati”;
Per quanto riguarda la definizione di debitore inadempiente, si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre 90 giorni dalla data in cui era dovuto (art. 54, comma 5, D.L. n. 18/2020). Sul punto, pur rilevando l’assenza di un esplicito termine a quo a partire dal quale il credito può ritenersi “dovuto”, si potrebbe ragionevolmente fare riferimento a quanto previsto al riguardo dalla normativa civilistica

2. qualificatorio, ovvero che i crediti deteriorati siano di natura commerciale o finanziaria (come dettagliato nella Relazione Illustrativa al Decreto).

In aggiunta a quanto sopra, per quanto riguarda i crediti, il decreto Cura Italia sembra porre due limiti specifici:
- in relazione ai crediti infragruppo, in quanto la disposizione agevolativa non trova applicazione alle cessioni di crediti tra società che sono tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto (art. 54, comma 7). Al riguardo, è necessario quindi fare riferimento a tutte le situazioni di al controllo di “diritto”, di “fatto” ovvero alle situazioni di controllo “contrattuale”;
- in relazione a un limite quantitativo oggettivo, in quanto i crediti ceduti possono essere considerati per un valore nominale massimo pari a 2 miliardi di euro, determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate entro il 31 dicembre 2020 dalle società tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. e dalle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.

Le DTA trasformabili
Il decreto riferisce la trasformazione in crediti d’imposta alle attività DTA relative:
- alle perdite riportabili non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell’art. 84 TUIR;
- all’ACE disponibile, rectius importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto – di cui all’art. 1, comma 4, D.L. n. 201/2011 – non ancora dedotto né fruito quale credito d’imposta ai fini IRAP.

Ai fini dell’individuazione delle DTA convertibili in credito d’imposta viene prevista la possibilità di operare la trasformazione anche qualora i crediti per imposte anticipate non siano ancora stati iscritti in bilancio, e.g. per non superamento del probability test, purché siano riferibili ai componenti indicati dalla norma, non ancora dedotti o usufruiti alla data della cessione dei crediti.

Tale precisazione, che appare innovativa rispetto agli speculari regimi di conversione, dona alla disposizione particolare spinta agevolativa. Al riguardo, ci si limita a ricordare che la rilevazione contabile delle DTA presuppone, tra l’altro, una valutazione positiva circa il recupero delle poste creditorie iscritte a tale titolo negli esercizi successivi (i.e. vi è la ragionevole certezza – ovvero anche la probabilità per i principi IAS/IFRS – dell’esistenza, negli esercizi in cui si riverseranno le differenze temporanee deducibili che hanno portato all’iscrizione delle imposte anticipate, di un reddito imponibile capace di assorbirle – probability test).
L’inserimento del vincolo “dell’iscrizione in bilancio” avrebbe ragionevolmente escluso dall’agevolazione le società già in difficoltà contrariamente da quanto sembrerebbe sostenuto dalla ratio della disposizione.

La determinazione del credito d’imposta
Il credito d’imposta è determinato:
- sulla base delle cessioni di crediti deteriorati, effettuate entro il 31 dicembre 2020, e
- con riferimento alle DTA iscritte con riferimento a
(i) perdite fiscali riportabili non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile, e
(ii) l’ACE disponibile.

Giova precisare che, ai fini del computo del beneficio, per quanto riguarda le perdite fiscali, non rilevano i limiti di cui al secondo periodo del comma 1 dell’art. 84 TUIR.
La quota massima di DTA trasformabili in credito d’imposta è determinata in funzione dell’ammontare massimo di componenti cui esse si riferiscono. A tal fine, il legislatore ha inteso porre:
- un limite relativo, pari al 20% del valore nominale dei crediti ceduti;
- un limite complessivo, pari a 2 miliardi di euro di valore nominale ai crediti complessivamente ceduti entro il 31 dicembre 2020 che rilevano ai fini della trasformazione.

Ciò comporta che se una società cede crediti per 1 miliardo, potrà trasformare in credito d’imposta al massimo una quota di DTA riferibile a 200 milioni di euro di componenti indicati dalla norma, equivalente – supponendo che l’aliquota IRES applicabile sia quella ordinaria al 24% – a 48 milioni di euro.

A decorrere dalla data di efficacia della cessione dei crediti il cedente non potrà più portare in compensazione dei redditi le perdite, né dedurre o usufruire tramite credito d’imposta l’eccedenza del rendimento nozionale, corrispondenti alla quota di DTA trasformabili in credito d’imposta ai sensi della disposizione in esame.

La trasformazione delle DTA in crediti d’imposta è condizionata all’esercizio, da parte della società cedente, dell’opzione di cui all’art. 11, comma 1, D.L. n. 59/2016. Ciò comporterebbe l’irrevocabilità dell’opzione.
L’opzione deve essere esercitata entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti e ha efficacia a partire dall’esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione (rectius 1° gennaio 2021, per i soggetti solari).
Considerato il richiamo normativo ci si chiede se per quanto riguardi l’opzione possano essere considerati validi i chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 32/E/2016 al par. 2.

La trasformazione avviene alla data della cessione dei crediti. Ciò significa ragionevolmente che il credito d’imposta sorgerà per l’intero ammontare in tale data.
I crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione non sono produttivi di interessi e possono essere utilizzati in compensazione senza limiti di importo ovvero ceduti secondo le procedure dell’art. 43-bis o dall’art. 43-ter, D.P.R. n. 602/1973. Tale credito maturato può essere altresì richiesto a rimborso.
I crediti d’imposta vanno indicati nella dichiarazione dei redditi e non concorrono alla formazione del reddito di impresa né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive.

La disciplina in commento non contiene specifiche disposizioni che regolano il funzionamento dell’agevolazione nell’ambito dei gruppi. Le uniche disposizione che si occupano indirettamente dei gruppi di imprese sono quelle, in precedenza citate, che stabiliscono che:
- ai fini dell’accertamento della situazione di inadempienza che dà luogo al deterioramento del credito non rilevano le cessioni di crediti tra società che sono tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c.e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto;
- per i soggetti appartenenti a gruppi, il limite dei 2 miliardi si intende calcolato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate da soggetti appartenenti allo stesso gruppo.

Il contesto normativo induce a ritenere che la scelta legislativa sia stata quella di voler attribuire esclusiva rilevanza alle singole società ai fini della disciplina in esame sia per quanto attiene alla conversione delle DTA che hanno origine dal riporto di perdite fiscali pregresse che di quelle che risultano collegate al beneficio ACE non ancora fruito.

In relazione alla possibilità di trasformazione delle DTA in presenza di perdite fiscali pregresse, una questione interpretativa di interesse è relativa alle società che aderiscono al consolidato fiscale. In particolare, non risulta chiaro se queste siano obbligate ad avvalersi della disciplina di trasformazione, ovvero possano scegliere liberamente di trasferire al consolidato l’intera perdita fiscale.
Al riguardo, vi possono essere situazioni in cui il consolidato potrebbe avere, nel suo complesso, interesse a una scelta di questo tipo perché i vantaggi derivanti dal trasferimento della perdita potrebbero essere superiori a quelli conseguibili dalla trasformazione delle DTA ad opera dalle singole società consolidate. Ciò potrebbe verificarsi nel caso in cui la consolidante ha modo di attuare, attraverso queste perdite, una più opportuna pianificazione dei debiti per imposte delle società del gruppo, o anche di ridurre (sebbene con effetti meramente temporali) il carico di imposte per versamenti in acconto dell’IRES.
In questi casi, una scelta del genere dovrebbe essere senz’altro ammessa tenuto conto che per tali soggetti la trasformazione delle DTA in crediti di imposta è meramente opzionale e non obbligatoria.
Una volta che sia stata compiuta, da parte della società consolidata, la scelta di non convertire le DTA derivanti da perdite fiscali pregresse, con la conseguenza di mantenere in vita le stesse e di trasferirle al consolidato, le DTA riferibili a tali perdite fiscali devono considerarsi come normali DTA non più suscettibili di conversione e, quindi da sottoporre al probability test ai fini della loro iscrizione in bilancio.
La scelta legislativa di voler attribuire esclusiva rilevanza alle singole società, ai fini della disciplina in esame, sembra indurre a ritenere che – anche nell’ambito dei gruppi d’imprese – il soggetto che intende trasformare le proprie DTA in crediti d’imposta debba necessariamente procedere anche alla preventiva cessione dei propri crediti deteriorati.
Poiché il consolidato fiscale non è in grado di esprimere una posizione tributaria autonoma rispetto a quella delle società che vi partecipano non sembra, infatti, consentito a una società che ha proprie DTA trasformabili avvalersi della cessione di crediti deteriorati effettuata da parte altra società del gruppo e procedere comunque alla trasformazione delle proprie DTA pur in assenza di una propria cessione diretta di crediti deteriorati.